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I Patti Lateranensi del 1929 – Cronaca dei fatti – Il Discorso del Senatore Bevione

Questo è il fascicolo originale che fu stampato dalla tipografia del Senato autografato dal Senatore Bevione in persona. Riportiamo il discorso del senatore Bevione sui Patti Lateranensi

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Il giorno 23 maggio 1929 – dopo un grande lavoro diplomatico e incontri non ufficiali fra le due parti – si apriva il dibattito al Senato per la ratifica dei Patti Lateranensi. Questi erano stati firmati l’11 febbraio, realizzando la conciliazione tra Stato e Chiesa, ponendo fine alla “questione romana”. Mussolini poté così vantare un’altra importante realizzazione concreta; e per il regime fascista era una preziosa legittimazione, che valse a convincere anche i più scettici, che il suo potere aveva basi reali. Una legittimazione data prima da una monarchia millenaria e poi da una Chiesa bimillenaria. Due entità che non potevano aver sbagliato nel dare un giudizio positivo e la legittimità al Fascismo e quindi all’opera del suo fondatore Mussolini..

Nel rileggere i suoi passati interventi sui giornali trentini, romagnoli e liguri – a proposito del suo anticlericalismo estremo – non si può non sottolineare che il Patto fu una delle sue più stupefacenti e abili operazioni politiche di Mussolini. Un romagnolo rimase incredulo e condensò in una frase tutto quel passato “Ma come, proprio tu vai a fare queste cose, tu che ti mangiavi un prete a colazione, un curato a pranzo e una suora a cena!”. Quello era il Mussolini della “Lima” che si firmava allora “Il vero eretico” con accuse ai preti di essere i “gendarmi neri al servizio del capitalismo”.
Ma di acqua da allora sotto i ponti del Tevere ne era passata. Il cardinale MERRY DEL VAL dopo la firma dei “Patti”, espresse un lapidario giudizio “Mussolini con chiara visione della realtà ha voluto e vuole che la religione sia rispettata, onorata, praticata”. Ma non si fermò solo qui, espresse anche un giudizio religioso e politico “Visibilmente protetto da Dio, Mussolini ha sapientemente rialzato le sorti della nazione accrescendone il prestigio in tutto il mondo”.
Durante la cerimonia della firma, il Cardinale GASPARRI che aveva condotto tutta l’operazione, regalò a Mussolini la penna d’oro che era servita per firmare i protocolli, e nel farlo non trattenne le lacrime dalla gioia.
Papa Pio XI, anche lui visibilmente emozionato alla firma dei Patti, disse che “per il compimento di un’opera così alta che aveva ridato Dio all’Italia e l’Italia a Dio… Forse ci voleva un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare”.
La data dell’11 febbraio per la firma non era stato dalla Chiesa scelta a caso; era la ricorrenza del miracolo della Madonna di Lourdes. Questo accordo doveva essere ricordato ai posteri, come un altro miracolo che aveva fatto la Madonna alla Chiesa.
Ma anche per Mussolini, era importante quel “miracolo”; da farsi entro febbraio, perché invece delle elezioni, nel mese di marzo con un plebiscito intendeva ottenere un amplissimo riconoscimento popolare, per poi con l’ampio consenso, eleggere la prima vera Camera del regime.
Il 24 marzo, l'”Uomo della Provvidenza” il consenso lo ottenne più che ampio.
Anche se meno di un milione di elettori non parteciparono al voto, l’immagine che ne venne fuori,
fu una singolare Italia: molto compatta, riunita attorno al capo del fascismo.
Diritti al voto 9.460.737
Votanti 8.661.820 (89,63 %)
votano SI… 8.517.838 (98,4 %)
votano NO… 135.773
nulli …8.209.

Alla Camera la ratifica dei “Patti” era già stata approvata il giorno 10 maggio con 316 voti favorevoli contro 2.
Questo è invece l’intervento del Sen. BEVIONE, di grande interesse, che precede di poche ore (il 25 maggio) la ratifica degli accordi al Senato, che voterà con 316 voti a favore. Votarono contro Luigi Albertini, Alberto Bergamini, Emanuele Paternò di Sessa, Francesco Ruffini, Tito Sibibaldi e… Benedetto Croce

In Senato, dopo il discorso di Bevione, il Sen. Benedetto Croce nel suo intervento denunciò che questi accordi tradivano il principio di una “libera Chiesa in un libero Stato” che era stato alla base della costruzione dello Stato unitario. Mussolini concludendo il dibattito (che leggeremo nel prossimo capitolo), per questo attacco alquanto infastidito definì Croce un “imboscato della storia”.
Un gruppo di studenti e intellettuali torinesi, tra cui Umberto Cosmo, Barbara Allason e Massimo Mila, manifestarono la loro solidarietà a Croce, entrando così nel mirino della polizia politica.

RIPORTIAMO QUA DI SEGUITO IL DISCORSO DEL SENATORE BEVIONE:


“Onorevoli Colleghi. Le ragioni storiche, politiche e spirituali che raccomandano l’approvazione incondizionata dei Patti del Laterano sono state esposte in modo insuperabile nel potentissimo discorso del Capo del Governo alla Camera (lo leggeremo più avanti – Nda); illustrate efficacemente dai discorsi del Guardasigilli e dalle relazioni ministeriali e parlamentari, fra le quali è doveroso ricordare quella eloquentissima ed ardente di amor patrio del nostro insigne relatore Boselli; svolte sotto ogni punto di vista nella elevata discussione avvenuta nell’altro ramo del Parlamento ed in questo.
Non mi indugerò dunque a spiegare i motivi per i quali i Patti del Laterano hanno da essere accolti anche in questo Consesso con plauso senza riserve: e mi limiterò ad affermare, credo interpretando il pensiero di tutti i colleghi, che è un grande privilegio il nostro, un benigno dono della sorte per noi, quello di poter fare qualche cosa di più che approvare nel nostro foro interiore le Convenzioni, alla pari di tutti i cittadini, ma di poter impegnare personalmente la nostra parte di responsabilità, accordando alle Convenzioni quella ratifica, senza di cui esse non diventerebbero operanti.

Le mie brevi considerazioni avranno dunque per oggetto un lato particolare e per sé stante della materia che ci è sottoposta: e cioè le conseguenze che i Patti del Laterano sono presumibilmente destinati ad avere nei rapporti tra l’Italia e la Santa Sede.
Lo Stato italiano e la Santa Sede fino a ieri erano due potestà divise, distanti, senza relazioni ufficiali, con vaghe, intermittenti e prudentissime relazioni indirette, che si svolgevano nel riserbo a tutta prova di pochissime persone.
Non si poneva dunque, tra Italia e Vaticano, il problema fondamentale della convivenza, che vale per tutto ciò che vive non in solitudine al mondo, dall’intima cerchia famigliare alle più grandi Potenze della terra, problema che si potrebbe esprimere così: « I benefici della convivenza sono equamente distribuiti? In caso. contrario, la convivenza a favore di chi si svolge? Chi trae i maggiori vantaggi dalle relazioni -reciproche? Chi ne paga il prezzo con un più vivo sacrificio della sua personalità, della sua libertà, dei suoi interessi?»

Tale problema ora si pone tra lo Stato italiano e la Santa Sede.
Anzi, esso è già stato posto, e da taluno addirittura risolto, con l’indicazione precisa del beneficiario e della vittima.
E’ da notare che questi solleciti misuratori delle conseguenze dei Patti del Laterano non si accordano sui nomi del fortunato e del perdente.
Vi è chi ha sentenziato che la Santa Sede, in forza della conciliazione col Regno d’Italia, è condannata a diventare feudo dello Stato italiano, e docile ed efficace strumento della sua politica, specialmente nelle relazioni internazionali.
E vi è chi ha deciso che invece è lo Stato italiano che deve diventare, specialmente nella sua vita interna, mancipio della Chiesa, trasformandosi in Stato confessionale, in Stato clericale, dove l’aria non sarà più respirabile per chi non sia cattolico praticante.
Il fatto che giudizi opposti siano stati espressi sugli effetti che dovrebbero risultare da uno stesso evento, la Conciliazione, mette subito in guardia chi ha senno, contro l’una e l’altra interpretazione estrema.
Un esame anche sommario dei veri termini del problema conduce alla conclusione che siffatti pericoli non sono da temere nello sviluppo delle relazioni fra l’Italia e la Città del Vaticano, e che, data l’essenza e dato lo spirito della Chiesa cattolica e del Regime fascista, è, non solo possibile, ma ragionevolmente prevedibile che la convivenza in Roma delle due potestà si svolga in buona e durevole armonia, con mutuo rispetto delle reciproche esigenze e con mutuo beneficio, senza conquistatori e senza vittime, senza vincitori e senza vinti, come, per comune giudizio, già risultano, nelle loro clausole, i Patti del Laterano.

Incominciamo dalla prima ipotesi: il predominio dell’Italia sulla Santa Sede, sopratutto agli effetti della politica internazionale. Questo pericolo fu denunziato con particolare insistenza all’estero, specialmente in Francia, al primo annunzio della Conciliazione.
Per una contraddizione soltanto apparente, i critici ed allarmisti francesi in questo campo figurano fra i conservatori, i nazionalisti ed i cattolici, e non fra i radicali, i socialisti ed i massoni: contraddizione solo apparente, perché in Francia le correnti politiche più vigilanti e più attive a difesa delle posizioni francesi nel mondo, sono precisamente quelle di destra, mentre le forze di sinistra e di estrema sinistra, come avveniva un tempo da noi, considerano compromettente se non degradante dimostrare una qualsiasi suscettibilità in materia di politica estera.
Il motivo dichiarato delle preoccupazioni dei pessimisti francesi di destra è questo: la Chiesa cattolica – essi dicono – è legata all’Italia da innumerevoli e fortissimi vincoli, dalla sede della Cattedra di Pietro, che è Roma, dalla nazionalità del Pontefice, che per tradizione millenaria è italiana, dalla nazionalità della maggioranza dei Cardinali di Curia, che è italiana, dalla nazionalità della maggioranza del corpo diplomatico pontificio, che è pur essa italiana.

Fino a quando – essi soggiungono – durò la rottura tra l’Italia e la Santa Sede, e il Pontefice si tenne chiuso, volontario prigioniero, in Vaticano, per dare la massima solennità alla sua protesta contro lo Stato italiano che l’aveva privato dei suoi territori, l’origine prevalentemente italiana delle alte gerarchie che governano la Chiesa cattolica non destò inquietudini.
Ma oggi – essi continuano – tutto è cambiato: il Regno d’Italia diventa per la Santa Sede una Potenza amica: la sua situazione privilegiata di contiguità territoriale, e la forte preponderanza dell’elemento italiano nel governo della Chiesa, autorizzano il timore che la Chiesa usi parzialità a favore dell’Italia e a danno delle altre Nazioni, e ponga a servizio particolare della politica italiana l’altissima influenza di cui dispone nel mondo, privandone le Nazioni che ne hanno goduto fino a ieri.

Cosicché – essi concludono – per mantenere la situazione nei suoi termini precedenti, ed assicurare gli altri Stati che la Conciliazione non è destinata a porre la Santa Sede in una situazione di dipendenza dall’Italia, la Santa Sede dovrebbe munire di garanzie internazionali la sua indipendenza e libertà.
Qualche giornale francese ha anche specificato certe misure che la Santa Sede dovrebbe adottare, per impegnare la sua imparzialità ed equanimità verso tutte le Nazioni, e cioè: aumento della percentuale dei Cardinali non italiani nel Sacro Collegio (evidentemente, anche se ciò non fu detto, per preparare l’elezione di Papi non italiani) e maggioranza di elementi non italiani nella diplomazia pontificia.
Mi guarderò bene dal dire anche una sola parola a confutazione di queste critiche, e contro queste proposte.
È argomento delicatissimo, di assoluta ed esclusiva competenza della Santa Sede.
Ma la Santa Sede ha subito rilevato questo movimento, e l’ha affrontato in pieno, stroncandolo con inesorabile energia.
Perché il Senato veda con quale decisione la Santa Sede è risoluta a difendere la pienezza della sua sovranità di fronte a tutti gli Stati del mondo, leggerò alcune righe dedicate dall’Osservatore Romano al signor Maurizio Pernot, uno dei giornalisti francesi che si era spinto più avanti nella denuncia dei pericoli di italianizzazione della Santa Sede, e nella richiesta di garanzie internazionali.
Scrisse l’organo della Santa Sede: « Che si pretende ora da questi improvvisati paladini dell’indipendenza religiosa ? Questo: che il Papa…. dipenda dal consenso e dalla tutela di altre Nazioni: e si appella per questo ai Papi precedenti. Ma nessun Pontefice, da Pio IX a Benedetto XV, ha detto che le garanzie internazionali sono indispensabili alla vera e propria sicurezza per la Santa Sede, alla piena tranquillità per il mondo cattolico nel senso supposto dal signor Pernot».

Che manca dunque ancora alla libertà della Chiesa? Se il Pernot si ostina a dubitarne, il suo dubbio é grandemente offensivo per chi è stato posto dalla Divina Provvidenza a difendere quello che la Chiesa ha di più caro, e per cui ha sostenuto gigantesche lotte secolari”.
“Si calmi dunque anche il Pernot dalle sue amletiche agitazioni: il Sommo Pontefice, comunque si chiami, coi divini presidi saprà difendere la libertà della Chiesa nel nuovo ordine di cose, se l’ha saputa tanto bene difendere nella sua cattività “.

Ciò che per parte nostra possiamo affermare in questo campo, senza venire meno per nulla ai doveri della discrezione, perché é cosa che riguarda noi soli, si è che, stipulando i Patti del Laterano, l’Italia non ha voluto concludere un mercato, e non ha fatto pesare per un milligrammo sulla sua bilancia gli ipotetici vantaggi internazionali, che turbano i sonni dei conservatori francesi.
Altri benefici, di ben diverso carattere, e tutti apertamente dichiarati, hanno consigliato l’accordo del Laterano e l’hanno fatto accogliere con cuore colmo di gioia della Nazione.
Sappiamo meglio degli altri che la Chiesa cattolica o rimane supernazionale o cessa di esistere. Sappiamo che, se la Chiesa cattolica dovesse immedesimarsi nell’Italia, o con essa comunque confondersi, decadrebbe al ruolo di una delle tante religioni nazionali che vivacchiano nel mondo; e i primi a soffrirne spiritualmente sarebbero gli Italiani, che anelano al Dio infinito rivelato nella Chiesa universale.

La Nazione italiana è fiera di quanto si irradia sulla terra di latino, di italiano, di romano, attraverso la meravigliosa propagazione della Chiesa; ma la Nazione italiana é ben consapevole che l’armonica, libera, assidua cooperazione di tutti i popoli e di tutte le anime è necessaria, perché la Chiesa viva e si espanda.
L’Italia concorrerà a questa grande opera spirituale colle sue forze migliori, in un’aperta gara di bene colle altre Nazioni.
E, per cominciare, non è contrariata e delusa, ma lieta di constatare che la conclusione del Patto del Laterano già ha giovato fuori della nostra frontiera, e proprio in Francia, alle sorti della Chiesa cattolica, facilitando la rapida approvazione della legge per il noviziato di nove congregazioni missionarie, legge che da vari anni il Governo francese faticosamente ed inutilmente tentava di condurre in porto.
Rimane ora da esaminare l’altro pericolo: La possibilità dell’assoggettamento dello Stato Alla Chiesa.
Di questo pericolo si mormora in Italia in quegli ambienti che il Capo del Governo ha definito le residuali cellule massoniche; e si cerca di dimostrarne la consistenza, additando le disposizioni del Concordato, che fanno un trattamento di particolare favore alla Chiesa cattolica in confronto ai culti ammessi.
Ma tali disposizioni sono tutte in germe contenute nell’art. 10 dello Statuto, che proclama la religione cattolica la sola religione dello Stato.

Volendosi comporre la lunga contesa tra la Chiesa e lo Stato, era necessario regolare questa complessa materia in un Concordato, il quale, salvaguardando i diritti dello Stato, riconosca alla Chiesa cattolica, al suo culto, ai suoi istituti, alle sue proprietà, ai suoi ministri una posizione conforme alla dichiarazione dell’art. lo dello Statuto, cioè una posizione ufficiale, esclusiva, e, diciamo pure la parola, privilegiata.
Ciò che importa è vedere se esiste la possibilità che, per l’invadenza dell’autorità religiosa, o per la debolezza dell’autorità civile, o per entrambe le cause, la posizione ufficiale che alla Chiesa Cattolica è riconosciuta in Italia sia dilatata oltre i suoi prescritti confini, e dia luogo ad una aperta o larvata sovrapposizione di poteri a danno dello Stato: donde quegli effetti sopra accennati, dello Stato confessionale, dello Stato clericale, dell’atmosfera politica insostenibile da chi non sia cattolico praticante, in una parola dell’abdicazione dello Stato.

Su questo argomento, per ciò che riguarda il pensiero ed i propositi dell’autorità religiosa, non tocca a noi dare interpretazioni ed assicurazioni.
Ma per quel che riguarda la potestà civile, chi teme o dubita di un asservimento dello Stato alla Chiesa, dimostra di non conoscere il Capo del Governo e il Regime Fascista. (Approvazioni).
La storia delle laboriose trattative, ormai nota almeno nelle sue grandi linee, mette in evidenza la volontà costante ed inflessibile dell’on. Mussolini di difendere nella loro integrità e totalità i diritti e le prerogative statali, dall’ultimo millimetro del territorio nazionale ai più delicati compiti spirituali dello Stato.
Questa volontà, bisogna riconoscerlo, é stata accolta da parte della Santa Sede con intelligente e leale comprensione.
Il discorso del Capo del Governo alla Camera, coi suoi risoluti accenni al carattere etico dello Stato fascista, al trattamento di equità che sarà fatto agli altri culti, al carattere sacro di Roma, ad alcuni monumenti romani, e soprattutto all’educazione della gioventù, spezza qualunque dubbio, e mostra in luce solare la linea d’azione fermissima che lo Stato seguirà nelle sue relazioni colla Chiesa, a tutela del suo inalienabile ed intangibile patrimonio di diritti, di compiti. e di responsabilità.
Senonché, a ventiquattro ore dal discorso dell’on. Mussolini, è venuto il discorso del Pontefice ai collegiali di Mondragone, nel quale si invoca il diritto preminente della Chiesa in fatto di educazione della gioventù.
Questo discorso ha fatto sorgere in taluno la speranza di un primo ed insanabile dissidio fra Chiesa e Stato in una materia di eccezionale importanza per i due poteri.

Questa speranza – io credo – è vana.
Il Pontefice è coerente colla dottrina cattolica e coll’essenza del magistero della Chiesa, quando invoca il diritto di precedenza della Chiesa in materia di educazione della gioventù.
Ma è del pari coerente colla dottrina dello Stato fascista e colle necessità più evidenti della sua conservazione il Capo del Governo italiano, quando accampa in modo inderogabile la richiesta che allo Stato italiano sia riservata l’educazione dei suoi giovani.
Ora, il silenzio del Concordato su questo punto capitale, e il non revocato scioglimento del corpo degli Esploratori cattolici, dimostrano che la richiesta del Capo del Governo é stata accolta tacitamente, e sia pure con vivo e comprensibile cordoglio, dal Pontefice.
Il discorso al collegio di Mondragone riconosce d’altra parte che la Santa Sede non ha i mezzi materiali – né se ne duole – per sostenere su tale punto la sua intransigenza teorica.
Dunque è pacifico in linea di diritto e in linea di fatto che in Italia lo Stato provvede alla educazione dei giovani, e ben s’intende con l’insegnamento religioso, ed anche con l’assistenza religiosa controllata dall’ordinario militare nelle formazioni giovanili a tipo sportivo -militare.

Così la questione è risolta: e non si vede come un conflitto potrebbe sorgere intorno ad essa, finché dalle due parti si tiene fede ai Patti firmati in Laterano, ciò di cui nessuno può dubitare.
Il Capo del Governo aveva dichiarato nel suo discorso alla Camera:
«Nostro deve essere l’insegnamento. Questi fanciulli debbono essere educati nella nostra
fede religiosa, ma noi abbiamo bisogno di integrare questa educazione, abbiamo bisogno di dare a questi giovani il senso della virilità, della potenza, della conquista; soprattutto abbiamo bisogno di ispirare loro la nostra fede, le nostre speranze ».

A questa affermazione il Pontefice così rispose nel discorso agli allievi di Mondragone:
«Non staremo Noi a dire che per compiere l’opera sua nel campo dell’educazione è necessario, conveniente, opportuno che lo Stato allevi dei conquistatori, allevi alla conquista: quello che si fa in uno Stato, si potrebbe fare anche in tutto il mondo».
«E se tutti gli Stati allevassero alla conquista, che accadrebbe»?
«In questo modo non si contribuirebbe alla pace generale, ma piuttosto alla generale conflagrazione».

Con tutta la reverenza possibile, sia lecito dire in quest’aula perché noi siamo invece d’accordo col Capo del Governo sulla necessità che l’educazione dei giovani rimanga funzione dello Stato.
Se in tutti gli Stati la Chiesa cattolica fosse riuscita a far riconoscere il suo diritto all’educazione della gioventù, e dovunque i giovani fossero allevati nei pricipi evangelici della carità, del sacrificio, della rinunzia, del perdono, la situazione sarebbe diversa: ma invece in nessun paese del mondo, sia perché la maggioranza non vi è cattolica, sia perché vi dominano le sette, lo Stato ha affidato alla Chiesa cattolica l’educazione dei suoi giovani.
Che avverrebbe allora se in Italia soltanto l’anima della gioventù fosse educata per la conquista del regno dei Cieli, mentre altrove tutti preparano gli spiriti e le armi per la conquista dei beni di questa terra? (Applausi).
Lo Stato, che ha la responsabilità suprema della difesa della Nazione, non potrebbe permettere una così grave situazione d’inferiorità, senza tradire il suo primo dovere.
L’Italia ha un grande interesse spirituale alla più vasta diffusione e al massimo splendore della Chiesa cattolica nel mondo; ma la Santa Sede oggi ha anche un interesse spirituale e politico a che l’Italia riconciliata, contigua e legata con lei dal più ampio ed impegnativo complesso di accordi, sia sicura, potente, rispettata fra le Nazioni.
È ricca di grande significato una parola pronunziata dal Capo del Governo davanti all’altro ramo del Parlamento. Disse l’on. Mussolini:
« La Città del Vaticano si dichiara, e noi lo dichiariamo, perché il testo reca anche la firma del Governo italiano, territorio neutrale e inviolabile».
« Ed è evidente che noi saremo i garanti di questa neutralità e di questa inviolabilità, perché, se alcuno volesse ferirla, dovrà prima attraversare il nostro territorio ».

La situazione è stata chiaramente definita, o le conseguenze sono facili da trarre.

Onorevoli colleghi, mi avvio a concludere, e ritorno alla questione, se sia da temersi, in seguito ai Patti dell’11 febbraio, la clericalizzazione dello Stato italiano.
Ponete mente ad un nodo decisivo nel tessuto degli accordi del Laterano, su cui poco finora si é detto.
I due documenti fondamentali sono il Trattato ed il Concordato.
Iniziandosi le trattative, l’on. Mussolini impartì al compianto consigliere di Stato Barone, una direttiva, di cui il Barone stesso diede atto al Capo del Governo nei seguenti termini:
« V. E. ha segnato una sola pregiudiziale, quella cioè che, giungendosi ad un accordo, la Santa Sede riconosca con esso la definitiva sistemazione della questione romana, ed accetti quindi lo stato di cose segnato nel 1870, quando venne formato il Regno d’Italia con Roma capitale ».
« Richiede perciò, l’E. V., una rinunzia esplicita, da parte della Santa Sede, a qualunque rivendicazione temporale nei confronti del Regno d’Italia ».
« Il Pontefice, informato di queste sue premesse, si è dimostrato disposto ad accettarne senz’altro la sostanza, nella speranza che si addivenga ad una definitiva sistemazione dei rapporti con l’Italia, e non già alla stipulazione di un modus vivendi solo temporaneo ».

Concluse le trattative e firmati i Patti, il Papa, ricevendo in udienza solenne una rappresentanza del corpo accademico e degli alunni dell’Università cattolica di Milano, e, parlando ad essa dell’accordo raggiunto, disse:
« Il Trattato concluso tra la Santa Sede e l’Italia non ha bisogno di molte giustificazioni, sia esterne che interne, perché in realtà esso ne ha una, che é la più importante e definitiva. E questa è il Concordato ».
« È il Concordato, che, non solo spiega, non solo giustifica, ma raccomanda il Trattato. È il Concordato che il Papa, appunto perché doveva avere questa funzione, fin da principio ha voluto che fosse conditio sine qua non al Trattato; desiderio questo, nel quale, occorre dirlo subito, il Santo Padre è stato nobilmente, abbondantemente assecondato dall’altra parte ».

La situazione dunque è questa: la Santa Sede ha accettato in modo irrevocabile il trapasso dei suoi antichi. territori, salvo la Città del Vaticano, al Regno d’Italia, ha riconosciuto in modo irrevocabile Rama capitale d’Italia sotto la Dinastia di Casa Savoia.
Tutto ciò oggi è acquisito, e, dopo lo scambio delle ratifiche, non potrà più cambiare.
Ma questa parte della pattuizione agli occhi della Santa Sede si giustifica col Concordato, nel quale, senza pregiudizio per i diritti dello Stato, la Santa Sede riceve le concessioni alle quali massimamente tiene per l’efficace compimento della sua missione spirituale nel Regno.
Orbene, il Concordato é, per forza di cose, una convenzione che riguarda l’avvenire, mentre il Trattato é una convenzione che riguarda il passato.
Il Trattato chiude un periodo di storia, il Concordato ne apre uno nuovo.

Se, per dannatissima ipotesi, il Concordato dovesse dimostrarsi di controversa o di difficile applicazione, la Santa Sede non avrebbe più mezzo per ridurre al nulla il Trattato, e ritornare alla situazione giuridica, politica e storica anteriore all’11 febbraio. (Commenti).

Lasciatemi finire il mio concetto.
Ciò vuol dire che la Santa Sede fa all’Italia un largo, illimitato credito di fiducia.
Noi comprendiamo questa situazione particolare, per la quale, in definitiva, la Santa Sede si affida alla lealtà ed alla rettitudine dello Stato italiano e della Nazione italiana, e sentiamo tutta la responsabilità che ce ne deriva, che può paragonarsi a quella del debito d’onore. (Commenti).

Ma d’altro lato non si può non scorgere che da una siffatta situazione sorgono anche per la Santa Sede particolari necessità e responsabilità: cosicché appare assolutamente improbabile che la Santa Sede possa essere tentata a forzare le cose, ad andare oltre il limite del suo diritto, e cercare d’invadere il campo dei poteri e delle prerogative dello Stato.

Concludendo, i Patti del Laterano, esaminati nella loro prevedibile applicazione, non mostrano germi di fatali dissidii, ma soltanto possibilità di intenti armonici e di opere concordi.
Le polemiche ed i dispareri che possono sorgere su questo o quel punto sono piccola, trascurabile cosa, quando siano confrontati colla maestosa imponenza delle questioni risolute e dell’accordo raggiunto.
Non siamo davanti ad un labile giuoco di equilibrio politico, che abbisogni continuamente di un’azione di rettifica e di contrappeso, e giaccia alla mercé di qualunque capriccio del caso, ma ad una solida e quadrata costruzione, che è destinata a vigoreggiare nel tempo, producendo soltanto il bene.
Per questo deve essere infinita la nostra riconoscenza per il Capo del Governo, che ha preso l’iniziativa del negoziato, e l’ha svolto con alta dignità e sapienza, per S. M. il Re, che ha confortato il Primo Ministro col suo appoggio costante e ispirato al bene perenne della Patria, per S. S. Pio XI, che, con anima apostolica ed italiana, ha dato tutta la cooperazione necessaria, perché il negoziato riuscisse, e la giusta pace ritornasse fra la Chiesa e l’Italia”.
(Approvazioni – Applausi)

FINE del Discorso sui Patti Laterenansi del Senatore Bevione.

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